Le stampe sono in vendita in tiratura limitata di 10 copie per soggetto. Stampate dal laboratorio Jacopo Bianco e Nero su carta Baritata ai sali d’argento.
Vittorio Rosina era mio nonno. Con lui ho sempre condiviso uno sconfinato amore per la montagna; ricordo che dopo ogni mia escursione piccola o grande che fosse tornavo nel prato della casa di Macugnaga e ancora con gli scarponi addosso andavo a salutarlo, lui seduto sulla sua seggiola sotto l’abete con gli occhi semichiusi. E gli raccontavo delle montagne che avevo visto. Mi faceva mille domande, poi iniziava a raccontarmi delle sue di montagne, quelle che aveva scalato quando aveva la mia età, con lo zio Tista partendo da Campertogno o in giro per le Alpi con gli alpini. Si ricordava tutto, il nonno, ogni singola pietra, ogni tiro di corda. Era nato nel 1915 a Campertogno, dall’altra parte del Monte Rosa, nella casa di campagna in cui la famiglia era sfollata durante la Prima guerra mondiale Il nonno Vittorio muore nell’agosto del 2006, a quasi 91 anni, nella sua amata Macugnaga dove è sepolto ai piedi del Monte Rosa. Nonna Liliana, sua moglie, viene a mancare nel 2014. A mia mamma Margherita e allo zio Giovanni tocca il compito di svuotare la loro casa di Milano e uno scatolone pieno di vecchie fotografie finisce nel sottoscala della casa di Macugnaga. Lì resta per anni cadendo sotto il mio sguardo a ogni salita e discesa di quelle scale. Che prima o poi, mi dicevo, qualcuno dovrà sistemare quella confusione. Circa un anno e mezzo fa mi decido a mettere mano a quel disordine e apro per la prima volta gli album. Il nonno era fondamentalmente un uomo preciso. I suoi album di fotografie ne sono la conferma: quaderni di provini a contatto numerati e ritagliati in modo da orientarli tutti secondo il verticale e l’orizzontale, e di fianco ad ogni striscia nella sua grafia purtroppo quasi indecifrabile la localizzazione delle fotografie. A ogni striscia corrisponde un negativo in un album separato e numerato. Solo guardando quei microscopici provini capisco e mi prende uno stupore sincero: non mi ero mai resa conto che mio nonno era un fotografo. Vedo immagini di montagne, quelle cime di cui mi parlava e che evidentemente erano impresse così a fondo nella sua mente perché le aveva fotografate. Ci sono immagini di alpini scalatori, i suoi amici, che mi suscitano una profonda tenerezza perché ora tutte queste volti non ci sono più. Poi c’è la guerra, vissuta sempre in montagna, ci sono le sue sorelle, la sua mamma. Tutto ritratto con uno sguardo unico nella sua modernità: la composizione di certe immagini è semplicemente perfetta, il racconto avviene spesso attraverso le ombre più ancora che attraverso la luce, l’ironia amara di alcune immagini è spiazzante. Non ho mai potuto condividere con il nonno la nostra seconda grande passione in comune, non ce n’è stato il tempo. Mi piace però pensare che queste fotografie siano la mia eredità, un eterno dialogo tra lui e me.